lunedì 17 ottobre 2011

Serie C: Dura presa di posizione del Presidente Tobia



Nel quadro della seconda giornata di C1, sconfitta a tavolino per il Livorno Rugby cadetto, che non si è presentato sul campo del Vasari Arezzo cadetto. La motivazione del forfait è il numero troppo esiguo di giocatori attualmente a disposizione dell'allenatore Giampaolo Brancoli. Solo tredici (di cui uno in condizioni imperfette) gli atleti che potevano andare a referto. Purtroppo la seconda squadra biancoverde sta pagando a carissimo prezzo una situazione ben poco simpatica, legata alla posizione di dodici giocatori, ufficialmente ancora tesserati con gli Etruschi Livorno, ma desiderosi di tornare nelle fila del Livorno Rugby. In merito, durissima la presa di posizione del presidente del Livorno Rugby, Sergio Tobia che ha inviato una lettera aperta al Presidente Federale Giancarlo Dondi e al Presidente del Comitato Regionale Toscano Riccardo Bonaccorsi, per chiedere giustizia. Ecco il testo della lettera. 

Carissimi, il rugby - lo sapete bene - è uno sport di grande sacrificio. Quale maggior sacrificio di dover stare a guardare, inermi, patendo ingiustizia. Quale maggior sacrificio di stare a guardare non perché in panchina, pronti e disponibili, non perché “non convocati” ma fiduciosi ancorché incavolati nella giusta e ponderata sofferta scelta dell'allenatore e stimolati a fare meglio per essere chiamati alla prossima occasione, ma perché lasciati lì ad urlare in un vuoto irreale, un freddo micidiale silenzio tale da uccidere la più incrollabile fede in quei valori e principi così enfaticamente cantati dai novelli Omero del Rugby, elevato a mito ed archetipo dello sport stesso da un giornalismo estasiato o forse solo schifato dagli eccessi e trasgressioni di altri sport ormai degenerati. Che forse questi valori, questo mito, siano solo enfasi per operazioni di marketing tali da attrarre audience o vendere più birra? Dodici giocatori stanno aspettando dall'ottobre scorso – sì, da ormai un anno - di comprendere perché, solo per il fatto di essere stati abbandonati dal club per il quale erano tesserati non per volontà propria, ma per un accordo tecnico-sportivo poi gettato nel fango da soggetti senza scrupoli, di conoscere il loro destino e veder riconosciuta una loro dignità di uomini, ancor prima che di sportivi o rugbysti che dir si voglia, aggettivo sostantivato sempre meno … sostanziale. Figli come tutti gli altri di una Federazione che sentono nei propri cuori, che li fa propri dei successi, delle emozioni e delle sofferenze di una nazionale sempre più competitiva, sono stati lasciati inascoltati del loro desiderio di giocare – dico semplicemente giocare – in qualsiasi campionato. Difatti il Comitato di appartenenza, quello Toscano in questo caso, ha tutte le carte, tutte le prove di questa infamia e resta lì silente ed immobile come se il fatto accadesse su Marte e non tra i propri tesserati, lasciando che si consumi una bestialità tale da fare storia, storia ignobile in questo caso. La squadra cadetta del Livorno Rugby, privata di ben 12 giocatori per il motivo di cui sopra, è andata in campo nella prima partita con l'aiuto e solidarietà di vecchie glorie, ragazzi che anche fin da dieci anni prima avevano attaccato le scarpette al chiodo, ed anche infortunati, qualcuno con una placca di titanio sull'omero qualcun altro con suture chirurgiche ancora fresche. Ovvie ragioni di sicurezza, evidentemente prioritarie su ogni altro aspetto, hanno ragionevolmente impedito a questa pattuglia sparuta armata di solo onore di partire per Arezzo per giocare la programmata partita di C1. I dodici erano lì, belli sani e presenti e pronti a partire, con la forte tentazione di fare come fanno in tanti, cioè falsificare la propria identità e giocare. E' inutile infatti nascondersi dietro fili d'erba, sappiamo tutti che questo accade in C ogni domenica, ripetutamente e in dimensioni incredibili. Il Livorno Rugby queste cose non le fa. Una volta onestamente accadde in una under 15, e fu per l'ingenuità di un allenatore, come al solito non rilevata dall'arbitro. Appena ne fummo al corrente fummo noi stessi ad autodenunciarci. Chiamo tutte le altre società a pronunciarsi sullo stesso rigore morale, so che vi sentirò in tanti … ma ugualmente so bene non tutti! Certo ciò che emerge sollevando questa pietra solleva dubbi e perplessità ancora più ampie. La crescita di un organismo vivente, qualsiasi esso sia, avviene tramite la cosiddetta mitosi, ovvero la moltiplicazione cellulare. Miliardi di miliardi di questi elementari costituenti di ogni organismo dalla famosa ameba a noi stessi homo sapiens si riproducono per nostra fortuna seguendo un progetto fantastico e meraviglioso tale da dare vita ad entità assolutamente complesse in una armonia sinergica di organi e tessuti di ogni tipo ma ognuno legato all'altro da un codice assolutamente identico, il codice genetico appunto, pena la crescita di un nuovo organismo competitore e distruttore del genitore, detto neoplasia, nuova forma, meglio e terribilmente conosciuto come tumore … cancro! Può un movimento dirsi in crescita basandosi soltanto su dei numeri? No certamente, se non garantisce questa univocità genetica, questa comunione di intenti. “La mezzanotte del rugby”, così titola una libro famoso scritto dal giornalista sportivo Stephen Jones su quanto accadde dopo l'avvento del professionismo nel 1995. Certo il rischio di una reale mezzanotte, di anni di buio, fu alto. Ma così non fu perché menti aperte furono capaci di pensare in modo strutturato, creando cioè ambienti specifici per ogni tipo di realtà, dal club rugby al professionismo, dalle aree territoriali alle nazionali. Regole diverse per esigenze diverse, per garantire una unità di intenti, una condivisione di sforzi tali da incanalare qualità e partecipazione, miglioramento per tutti e forte etica sportiva che sappia comprendere ogni istanza come il rugby è e vuole restare. Domandiamoci quindi se questa serie C fortemente connotata di amatorialità ludica e pressoché totale sregolatezza possa rappresentare allo stesso tempo una valida offerta a chi, giocatore giovane ma adulto, cerchi ancora formazione e quindi un ambiente tecnicamente disciplinato o non sia meglio aprire bene gli occhi e dividere gli ambienti, lasciando a chi solo amatorialità guascona va cercando il proprio posto altrove, senza obblighi di star dietro alla formazione di giovani e bambini certamente, per il bene di questi ultimi soprattutto. Domandiamoci infatti se sia ancora di attualità lasciare che club e società si affilino e che iscrivano ipotetiche squadre frutto soltanto di sogni di un ego patetico ed infantile ai vari campionati, lasciando poi vuoti incredibili o indelebili ferite come quella riportata sopra, e se non sia il caso di richiedere dei minimi qualitativi, delle capacità formative perlomeno di base. Domandiamoci ancora se a tutto questo “volume” creato dall'entrata dell'Italia nel gotha delle home unions con il '6 Nazioni', possa corrispondere una proporzionale crescita in qualità senza intervenire fortemente in una disciplina etica e morale che sempre più scompare, sublimata dal calor bianco di una invasione di euforici falsi maestri lasciati ad insegnare rugby ed impartire lezioni anche ai bambini senza averne alcuna abilitazione e capacità. Presidente Federale Giancarlo Dondi, Presidente del Comitato Toscano Riccardo Bonaccorsi, fate sentire la vostra voce, fatela sentire a quei dodici che mi guardano chiedendomi come sia possibile che le garanzie di accordi scritti siano così facilmente ed impunemente calpestabili e come tanto scandalo non provochi una urgenza di giustizia, sia quella che sia ovviamente. Abbiamo bisogno di queste risposte, abbiamo bisogno di credere ed aver fiducia in voi e in ciò che rappresentate. 
Sergio Tobia, presidente del Livorno Rugby.